Il Castello di Otranto

La fanciulla conosceva anche troppo bene il carattere irruente del padre per arrischiarsi una seconda volta in sua presenza. Quando si fu un po’ ripresa dall’emozione di una così amara accoglienza, si asciugò le lacrime, perché Ippolita non le vedesse e non ricevesse un nuovo dolore. Questa le fece con ansia ogni sorta di domande sulla salute di Manfredi e su come avesse reagito alla grave perdita. Matilda le assicurò che stava bene e che sopportava la sua sventura con grande forza d’animo. “Ma non vuole che vada da lui?” chiese tristemente Ippolita. “Non permetterà che mescoli le mie lacrime alle sue e che sfoghi la mia pena di madre sul suo petto? O forse non mi dici la verità, Matilda? So che adorava suo figlio: il colpo è stato troppo forte per lui? Forse è completamente affranto? Non rispondi! Ahimè, temo proprio il peggio! Aiutatemi ad alzarmi, care fanciulle: voglio andare a trovarlo, sì, voglio vederlo di persona. Portatemi immediatamente da lui: il mio signore mi preme ancor più dei miei stessi figli.” Matilda fece cenno a Isabella di non lasciarla alzare, ed entrambe stavano costringendola dolcemente a restare sdraiata e a calmarsi, quando un servitore giunse a dire a Isabella che il suo padrone desiderava parlarle.
“A me?” esclamò Isabella. “Vai!” disse Ippolita, sollevata nel ricevere un messaggio del principe. “Certamente non sopporta la vista dei suoi famigliari. Pensa che tu sia meno turbata di noi e teme la violenza del mio dolore. Consolalo, Isabella, e digli che soffocherò la mia angoscia piuttosto che aumentare la sua.”

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Horace Walpole

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